Possiamo dire che è impossibile non bere un buon caffè a Napoli. Ogni bar di quartiere è una finestra sulla vita di una certa parte del territorio napoletano, ci si va anche per la compagnia e per fare quattro chiacchiere sulla quotidianità. Tra questi locali vi è anche il Gran Caffè Gambrinus, un pezzo di storia di Napoli.
Gran Caffè Gambrinus, un posto quasi sacro e ricco di storia
Nessun viaggio a Napoli è completo senza una visita al Gambrinus Belle Èpoque, uno dei caffè più famosi di Napoli. Molti artisti e pensatori famosi si sono seduti nelle sale ispirate alla Belle Époque, come Gabriele d’Annunzio, Jean-Paul Sartre ed Ernest Hemingway. Oscar Wilde era solito prendere qui il suo caffè e Mussolini fece chiudere alcune sale per tenere fuori gli intellettuali di sinistra.
Gli stuzzichini e l’aperitivo sono eccellenti e sorseggiare uno spritz o una cioccolata calda nelle sale in stile belle-époque è qualcosa che deve essere provato se ci si trova a Napoli. Fra i dolci sono da provare la sfogliatella, il babà e la cassata, da abbinare alla squisita cioccolata calda, al gelato oltrechè, naturalmente, al caffè. Puoi ordinarlo mentre sei in piedi di fronte al bancone del bar. Tuttavia, ti suggerisco vivamente di indulgere nel lussuoso rituale di sorseggiare il caffè pomeridiano e assaggiare un dolce quando ti trovi al Gambrinus.
All’interno, questo caffè storico si presenta con una veste lussuosa, quasi sfarzosa, tipica di un mondo che non c’è più, mentre fuori, sulla terrazza, si può apprezzare la vista del Teatro San Carlo. Il Gambrinus è anche un tradizionale punto di ristoro per gli amanti dell’opera che si ritrovano qui prima di recarsi a teatro dall’altra parte della strada. Il Gambrinus non è il posto dove si beve il proprio caffè quotidiano, e non dovrebbe esserlo. Questo è un luogo quasi sacro, da assaporare in occasioni speciali, preferibilmente prima di recarsi all’opera.
Il Gambrinus, Napoli e la nascita della belle epoque
Verso la fine del XIX secolo, Napoli, antica capitale del Mezzogiorno italiano, fu colpita duramente da una grave calamità. Un’epidemia di colera che era già da tempo scomparsa dalle capitali d’Europa travolse Napoli. A cavallo del ventesimo secolo, Napoli faticava a tenere il passo con la rivoluzione industriale che avrebbe modernizzato il nord Italia. L’unica eccezione fu rappresentata dalla legge speciale del 1904 per l’industrializzazione di Napoli, redatta da Nitti su richiesta di Giolitti. Nonostante ciò, con Napoli che aveva perso i privilegi di capitale circa quarant’anni prima, il lungo processo di risanamento urbano vide crescere i tratti borghesi della città, e la fisionomia della metropoli moderna cominciava ad essere marcata.
Napoli aveva sempre brillato nei campi culturali più diversi: aveva filosofi, letterati e giuristi, ma anche ingegneri e architetti, la canzone napoletana come industria culturale, grandi magazzini di livello europeo, iniziative imprenditoriali e lotte sociali di grande spessore.
All’alba del nuovo secolo, Napoli era dunque ancora una grande capitale europea, sempre all’avanguardia della cultura ma anche pioniera in alcune delle nuove forme di cultura di massa.
Gambrinus, Napoli e l’affermazione dell’industria culturale
Fu qui, nell’antica metropoli al centro del Mediterraneo, che si svilupparono le prime espressioni di un’industria culturale che si sarebbe affermata più ampiamente nel corso del XX secolo.
Per esempio, il sistema costruito intorno all’affermazione e alla diffusione mondiale della canzone napoletana era un’industria a tutti gli effetti. Ma Napoli fu anche la culla in Italia della nuova arte del cinema, che sarebbe poi cresciuta nel resto del Paese. Questa era senza dubbio la belle époque della città, e non solo perché il Salone Margherita e il Gran Caffè Gambrinus rivaleggiavano con i grandi caffè chantant di Parigi. Le classi dirigenti della città possedevano grandi competenze e grande dignità ed avevano la gestione degli interessi pubblici.
L’autunno del 1890 può essere identificato come l’inizio della belle époque a Napoli. Tra le opere di miglioramento e ristrutturazione urbana, veniva inaugurata la Galleria Umberto I, che sarà il cuore della rinnovata vita commerciale e culturale della città.
Tra Piazza Plebiscito e piazza San Ferdinando, il Gran Caffè riaprì nell’ex Foresteria del Palazzo Reale, ora sede della prefettura. Fu interamente ristrutturato e, per decisione del nuovo proprietario, si arricchì di un nome: Gambrinus, il nome del mitico re delle Fiandre e inventore della birra.
Mariano Vacca, già proprietario del vicino Caffè d’Europa all’angolo con via Chiaia, affidò la completa ristrutturazione del nuovo locale al noto architetto Antionio Curri, celebre professore di architettura all’Università.
Una quarantina di artisti, tra scultori e pittori, diedero vita a quella che Domenico Morelli definì “una delle più significative espressioni dell’arte napoletana dell’Ottocento”: una piccola pinacoteca in stile liberty e floreale con dipinti di Pratella e Irolli, Casciaro e Caprile, Migliaro, Scopperra, D’Agostino. Ma anche i marmi di Jenny e Fiore, i bassorilievi di Cepparule, gli stucchi di Bocchette, gli arazzi di Porcelli.
Il ritrovo di artisti e letterati
Il locale era il ritrovo preferito di personaggi come Salvatore di Giacomo, Ferdinando Russo ed Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao e Roberto Bracco, Domenico Morelli, Eduardo Dalbono e Gabriele D’Annunzio, che tra il 1890 e il 1892 visse a Napoli la sua storia d’amore con la principessa Maria Gravina Cruyllas di Ramacca. Qui, all’aperto, le grandi orchestre effettuavano spesso audizioni per il festival di Piedigrotta.
La sera il Gambrinus era quindi frequentato da una folla di intellettuali e artisti. Come riporta la rivista musicale “La Tavola Rotonda” nel 1891, dopo mezzanotte il Gambrinus era invaso da aristocratici e dame che accorrevano dai teatri dei dintorni. Nell’abbagliante mondo dei cafè chantants, illuminati dai primi impianti elettrici, il canto e la danza si affiancavano al teatro e a una forma di parodia musicale – una sorta di sketch comico-musicale – che a Napoli andava sotto il nome di macchietta.
Caffè sospeso: perché fu determinante il ruolo del Gambrinus?
Alla fine del XIX secolo il Gambrinus era noto per i migliori pasticceri, gelatai e baristi di tutta Europa. Oggi Angela Merkel, Bill Clinton e i presidenti italiani sono soliti visitare il Gambrinus quando vengono a Napoli, perché entrarci è un must. Facile da individuare, a sinistra di Piazza Plebiscito, che sia un caffè, una sfogliatella, un babà o un gelato, non si rimane mai delusi. I prezzi non sono diversi da qualsiasi altra caffetteria in città e il servizio e la cortesia del personale sono impeccabili.
Alla fine dell’Ottocento ebbe inizio la pratica del “caffè sospeso” proprio al Gran Caffè Gambrinus. Questa pratica solidale consiste nel lasciare un caffè pagato ai poveri che non possono comprarlo. Si tratta di un gesto solidale fatto dai più abbienti per permettere anche a chi non potrebbe di godersi il piacere di un caffè. Questa tradizione si è rinnovata in tempi di crisi proprio nel luogo dove è nata. All’entrata del Gambrinus c’è ancora una enorme e vecchia caffettiera napoletana che si trova in un angolo. Qui si possono lasciare gli scontrini “sospesi”, ovvero lasciati dai clienti a favore di chiunque ne abbia bisogno.
Questa pratica si è così diffusa che viene oramai seguita a Napoli da tutti i bar e da diverse pizzerie. Si paga un caffè e lo si lascia lì per chiunque ne abbia bisogno. “È una tradizione tramandata oralmente da nonni e genitori”, dice Sergio Arturo, uno dei proprietari del Gambrinus. “Ci sono diverse versioni su come è iniziata. Alcuni dicono che i nobili condividevano la gioia di aver vinto una corsa a cavallo o di aver incontrato una bella ragazza, andando nei caffè e pagando due caffè, uno per se stessi e uno per un estraneo”.